Se l’influenza aviaria cambia, cambiano i modi per combatterla

La vaccinazione e le mutevoli abitudini dei consumatori sono solo due degli argomenti trattati in occasione della riunione dell’International Egg Commission che si è tenuta a Londra all’inizio di aprile.

La vaccinazione viene sempre più considerata uno strumento utile per combattere l’influenza aviaria. “Se aumentano i casi di influenza aviaria, e se dobbiamo pensare che questa sta diventando sempre più ricorrente, allora oltre all’abbattimento dei capi e alle misure di biosicurezza, che attualmente utilizziamo per eliminare il virus, dobbiamo individuare misure aggiuntive” ha detto Arjan Stegeman, dell’Università di Utrecht, ricordando che in tutto il mondo stanno aumentando gli allevamenti avicoli, compresi quelli biologici: e se gli allevatori non possono impedire che questi non vengano colpiti dal virus diffuso attraverso gli uccelli selvatici, allora è necessario prendere in considerazione l’immunizzazione da virus stesso. In pratica, i vaccini devono svolgere un’azione preventiva, e non essere applicati in emergenza. “In molte parti del mondo l’infuenza aviaria è già endemica, e gli avicoltori vogliono utilizzare la vaccinazione per sradicarla”, ma il commercio e, in una certa misura, la mancanza di investimenti in adeguate vaccinazioni frenano il loro entusiasmo e la possibilità di campagne di vaccinazione.

Inoltre, secondo Aleandro Thiermann dell’organizzazione per la salute degli animali (OIE) gli ultimi focolai di influenza aviaria emersi nel 2013, sono stati caratterizzati da tre fattori: hanno colpito un gran numero di paesi, hanno causato un numero piuttosto ampio di casi e sono stati causati da una vasta gamma di sierotipi. Thiermann ha fatto riferimento all’ultimo rapporto dell’OIE, pubblicato nel febbraio 2018, che secondo il quale quest’anno in tutto il mondo il numero di epidemie nel pollame domestico è pari a 33, e ha interessato in particolare l’Asia. Dal 2013, a causa dell’aviaria sono morti o sono stati abbattuti 120 milioni di uccelli, di cui il 60% in Asia. Inoltre sono stati segnalati 860 casi di infezioni umane causate dal ceppo H5N1. Lo scorso inverno il numero di focolai di aviaria è stato piuttosto ridotto rispetto agli anni precedenti, ma il virus risulta comunque piuttosto diffuso.

Kevin Lovell, consulente di IEC, ha affermato che la malattia non è più stagionale. “Prima, in molti paesi era una malattia tipica dei mesi invernali, come succede con l’influenza umana. Ma attualmente non lo è più”. Inoltre la politica di “reprimere” la malattia quando è presente in un allevamento domestico potrebbe non essere il metodo migliore per combatterla, dato che non necessariamente la tiene lontana. “Questo metodo ha chiaramente successo se l’obiettivo è eliminarla in un dato periodo, ma in una visione più ampia? Se la malattia sta cambiando, dobbiamo cambiare il modo in cui la gestiamo”. In quest’ottica potrebbe essere necessario adeguare gli standard dell’OIE ha suggerito Lovell, ed è per questo che l’IEC ha prodotto un documento sviluppato in 12 punti che illustrano i potenziali benefici della vaccinazione. “Al momento non sono stati risolti tutti i problemi relativi alle vaccinazioni, ma ignorare la vaccinazione come una delle future strategie di controllo e gestione non è saggio“.

Fonte Poultry World

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