Ismea continua a monitorare l’impatto del Covid-19 sul settore agroalimentare e ha appena pubblicato il IV Rapporto sulla domanda e l’offerta dei prodotti alimentari nell’emergenza Covid-19.
Lo scenario del IV rapporto Ismea è caratterizzato dalla risalita dei contagi da ottobre 2020 in poi, che ha costretto la maggior parte delle nazioni a rafforzare le misure di contenimento della pandemia, determinando un’ulteriore frenata dell’economia mondiale.
In generale, le misure restrittive adottate nel corso del 2020 hanno avuto effetti molto diversificati tra i settori economici. Nello specifico, il comparto agroalimentare – nella fase agricola e in quella industriale -, pur non essendo stato soggetto a blocco delle attività neanche durante il lockdown di marzo, ha risentito dell’emergenza per una serie di fenomeni di filiera.
Prima di tutto, la chiusura in prima istanza e poi il forte rallentamento del canale Horeca ha impattato in modo diverso tra le varie filiere, a seconda della rilevanza che esso ricopre nel consumo finale di ogni prodotto. Secondo una stima dell’Ismea, nel 2020 la spesa delle famiglie italiane nella ristorazione sarebbe diminuita del 42%.
Ad ogni modo, il 2020 si è chiuso con un saldo positivo del commercio agroalimentare rispetto al 2019, con un surplus che, nel complesso, ha superato i 3 miliardi di euro (dopo il deficit di 37 milioni del 2019). A influenzare questo risultato è stata, a fronte della tenuta dell’export, la diminuzione delle importazioni del 5,1%.
I dati relativi al 2020 mostrano come siano i prodotti confezionati ad aver tratto maggiore vantaggio dagli effetti della pandemia, con un consumo che ha registrato una crescita quattro volte superiore al 2019; si tratta di un incremento delle vendite pari a circa 5,18 miliardi di euro di fatturato in più rispetto al 2019.
La tendenza di crescita dell’andamento delle vendite nel 2020 è di gran lunga la più ampia dell’ultimo decennio (+7,4%) e ha determinato tendenze positive in tutti i comparti, con incrementi sopra la media e, nello specifico, per tutti i proteici di origine animale.
Tra i diversi comparti delle carni (che nel complesso hanno registrato un aumento della spesa rispetto al 2019 del 9,8%), ad essere stato caratterizzato da maggiore dinamicità, vi è il segmento delle uova, per le quali la spesa degli italiani è cresciuta, nel 2020, del 15%, con picchi del 42% nei primi tre mesi di emergenza (marzo-maggio).
La filiera avicola, grazie alla sua totale autosufficienza e all’organizzazione integrata, è stata in grado di regolare l’offerta in base alle esigenze del mercato, riuscendo a portare prima la produzione e poi quindi consumi interni in terreno positivo. Lo sfasamento tra programmazione produttiva e repentine chiusure e riaperture delle “rosticcerie” (presso le quali transita circa il 15% dell’offerta totale) ha generato alcune difficoltà impattando negativamente sui prezzi.
Nel report Ismea emerge che i valori medi del pollame alla produzione hanno registrato, nel complesso, una contrazione del 3,4% causata dalle maggiori difficoltà di assorbimento nei mesi da aprile ad ottobre, ma si sono ripresi nella fase finale dell’anno limitando le perdite. La situazione sul fronte del macellato, invece, risulta essere migliore: i prezzi hanno accusato flessioni su base annua per un periodo più limitato (da aprile a giugno), con un risultato finale in positivo e un valore medio annuo per i busti di pollo superiore del 5% rispetto a quello del 2019. In generale, i dati di macellazione (+1% i capi di pollame nei primi undici mesi 2020) sono rappresentativi, nonostante la pandemia, di una stabilità dei volumi sia offerti che consumati, che fa distinguere, ancora una volta, il settore avicolo come uno dei più resilienti agli stati di crisi.
Sull’anno appena iniziato, il report apre a uno scenario di sfida in cui l’industria avicola dovrà confrontarsi non solo con le difficoltà causate dalla pandemia da Covid-19, ma anche diverse criticità: la ridotta capacità di spesa di una parte della popolazione che potrebbe diminuire i consumi, con l’aumento dei prezzi dei mangimi, con l’impatto dei focolai di influenza aviaria dello scorso inverno e con l’eccesso dell’offerta globale.
Fonte: http://www.ismea.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/11377